“La moderna governance prevede che il ruolo dell’azionista sia distinto da quello di consigliere
ed a sua volta da quello del management. Nonostante la proprietà della nostra società sia al
100% della famiglia, ho voluto a livello delle società operative una totale managerializzazione” questo è quello che afferma Marco Drago, presidente del gruppo De Agostini Spa, una delle aziende più importanti del nostro paese, in una recente intervista apparsa sul Corriere della Sera.
E questo è anche uno dei principali problemi delle aziende italiane, almeno di medie e grandi dimensioni, dove l’imprenditore di turno, che spesso è anche il fondatore, non riesce, e soprattutto non vuole, separare il proprio ruolo, fondamentale per la missione e la visione strategica, da quello del manager, altrettanto fondamentale per lo sviluppo e la gestione
corrente e futura dell’azienda.
Entrambe le figure sono assolutamente necessarie ed imprescindibili.
L’imprenditore è colui che conosce profondamente ed intimamente tutte le sfaccettature della propria impresa, dall’inizio sino ai giorni nostri, ne ha vissuto la genesi e la crescita, spesso ha affrontato le difficoltà e lo scetticismo iniziale, è legato alle persone che lo hanno accompagnato nelle varie fasi ed alle quali, a volte, deve affetto e riconoscenza. Ma tutti questi aspetti, basilari per talune fasi del processo di crescita, a medio-lungo termine si rivelano limitanti, poiché non favoriscono il cambiamento e l’evoluzione necessari per competere con nuove modalità, attuali
e moderne.
Il manager invece è colui che, proprio perché non è condizionato da fattori pregressi di tipo emotivo o relazionale, vede le cose con maggiore oggettività, affronta le situazioni in maniera assertiva, è inoltre dotato del know how, in ambito organizzativo e nella gestione delle risorse umane, che gli permette di essere fortemente orientato all’implementazione delle migliori decisioni, in ragione del momento attuale e delle prospettive future, non essendo condizionato dal passato.
Questo processo di “managerializzazione” rimane molto spesso incompiuto o inapplicato, poiché l’imprenditore, per una serie di cause che principalmente afferiscono ad un certo egocentrismo, il timore della “perdita del potere” o anche l’eccesso di “affetto” per ciò che considera la propria creatura, non permette di introdurre modalità e deleghe necessarie al manager per il progresso e la modernizzazione dell’azienda che porterebbero una reale solidità, maggiori risultati e migliori prospettive future.